C’era una volta ad Hollywood | Recensione del film

L’addio alle scene di Tarantino

C’era una volta la grande Hollywood. Quella fatta di divi e di stelle, quella dei rotocalchi e di grandi première. Quella di attori irraggiungibili e di registi affermati, quella che ha creato grandi capolavori e personaggi intramontabili, iconici. Insomma, c’era una volta la Hollywood a cui si guardava con fascino e ammirazione, talmente alta da essere irraggiungibile.

E poi c’è un punto di rottura.  Quello che divide la Hollywood della Golden Age a quella che conosciamo oggi, che cambiò una volta per tutte l’immaginario qualunquista di una La La Land patinata. Si tratta del brutale assassinio di Sharon Tate, incinta al nono mese e moglie del regista Roman Polansky, uccisa per mano della Manson’s Family.  Da quel drammatico giorno, i pacifisti anni sessanta, caratterizzati da hippie e utopie libertine possono dirsi conclusi. Parte da questa idea il film C’era una volta a Hollywood,(2019) da una storia d’amore dal triste epilogo. E Quentin Tarantino, noto per i suoi film cruenti con scene d’azione mozzafiato, poteva farsi sfuggire l’occasione di ritrarre su pellicola l’omicidio efferato di una donna incinta prossima al parto? No, assolutamente, si sarebbe tirato dietro tanta di quella merda che ancora ne staremmo a parlare. Decide invece di manipolare storicamente l’accaduto in una maniera più furba. Inserisce due personaggi fittizi mai realmente esistiti, interpretati da Brad Pitt e Leonardo DiCaprio (così il pieno in sala è assicurato) e costruisce su di loro una storia meravigliosa. 

Brad Pitt Leonardo DiCaprio

Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore televisivo in declino che, dopo aver vissuto di gloria riflessa dei suoi western, tenta di ritornare sul mercato. Il suo galoppino/ stunt-man /migliore amico Cliff Booth (Brad Pitt) è sempre pronto a sostenerlo e a sistemargli l’antenna della TV.  Tra gli illustri vicini di casa di Dalton c’è ovviamente Sharon Tate (Margot Robbie), attrice e moglie del regista Roman Polanski, ma purtroppo, a incupire il tutto, troviamo la presenza di Charles Manson (Damon Herriman) e dei dannati hippie che lo circondano, aka “la Family”. Saranno gli eroi immaginari a salvare le sorti di un tragico destino con l’unica scena di azione finale in pieno stile Tarantiniano. 

Tralasciando il fatto che qualcuno dovrebbe dire a Margot Robbie che una donna incinta al nono mese non saltella come fa lei, e che si vede lontano un miglio che quella è una palla da pilates sotto la maglia, il film devo dire, è molto scorrevole e piacevole. Si tratta nello specifico di una lunga narrazione parallela di eventi, di cui ci può importare relativamente poco, perché lo spettatore medio conosce già l’accaduto, vuole solo vedere come lo gestirà il regista, come ci si arriva. 

Tarantino, nei suoi precedenti film, ha battezzato il suo personale canone di regista sanguinario feticista dei piedi. Solo che stavolta non gli tira molto di metterci quella firma, aspira piuttosto a una revisionismo storico ben fatto. Di per sé non ci sarebbe alcun problema, anzi, sta andando benone ma poi, a quanto pare, dalla produzione gli ricordano chi è, ed ecco che inserisce inquadrature di piedi femminili sporchi a casaccio. Se ne sentiva proprio il bisogno. Anche perché, se in tre quarti di film non c’è ancora stato uno sbudellamento adrenalinico in stile action movie, allo spettatore potrebbe anche venire il dubbio di aver preso il biglietto sbagliato, di non star guardando l’ultimo film di Tarantino. Ma i piedi sporchi sono la risposta alla domanda di un film diretto da Quentin. 

Ora arriviamo al punto. C’è chi ha definito questo film “la summa di un artista che ha cambiato come pochi il mezzo cinematografico”, “uno spettacolo incredibile”, “non puoi capire che figata”, “è Tarantino quindi è figo per forza”.
Ci si aspetterebbe da un regista uscente dalla carriera cinematografica proprio questo. Ma io ci ho visto qualcos’altro. 

È un messaggio significativo da dare per un addio ai grandi schermi, che sembra auto lodare e consacrare il suo lavoro compiuto negli anni. Perché scegliere proprio quell’evento come sceneggiatura del suo ultimo film?

Prendendo la decisione di trattare un tragico omicidio hollywoodiano e cambiandone la successione degli eventi, firmandolo con il suo stile e il suo canone feticista e cruento, Tarantino ci lascia un grande messaggio narcisistico: “Io non ho solamente salvato Sharon Tate, io ho salvato il cinema.”

Saint Quentin Tarantino
San Tarantino ha salvato il cinema!
Annunci
Annunci
Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: